Zapata y Corazon | Racconto al Contrario | TECH-BLOCK! | Gato-Perro trova casa | Companera, Companero | Specchi | Viaje de Vita | Stormi | 335 Fratelli | Vuoti e Pieni | In Movimento | Impressioni nell’Anima | VOLARE ALTO | Gioia negli Occhi | Una storia sbagliata | Passione | Fame e Rivoluzione | Cura | Due colpetti su Cuore
18 Racconti-Restituzioni da Lapaz Roma. Un piccolo mosaico di parole, scritte più o meno a caldo, per ripercorrere le giornate della Gira por la Vida a Roma. Certamente ci sarà bisogno di tempo per rielaborare il senso di questo viaggio politico, di quella che è stata una invasione consensuale che abbiamo atteso e preparato in questo lungo anno. E che non finisce qui!
Zapata y Corazon
“…Con una scarpa puoi camminare, puoi calciare, puoi allacciarla ad un’altra oppure la stessa scarpa puoi allacciarla con due mani…”
Con una scarpa puoi camminare, puoi calciare, puoi allacciarla ad un’altra oppure la stessa scarpa puoi allacciarla con due mani. Di un anno e più di Gira Zapatista rimane un cammino insieme ad una piccola comunità in movimento, un calcio al cuore che ha ripreso a battere forte e un esercizio di teatro dell’oppresso di cui conservo l’immagine più potente: Allacciare insieme ad un Compa la sua Zapata con due mani, la mia e la sua, nascondendo le altre due, la sua e la mia… Un esercizio che serve a collaborare senza predominare e che ha intrecciato inevitabilmente il mio percorso a chi lontano nel sud est o nel sud ovest diremmo da queste parti, dal 1994 e anche prima, ha incominciato un Viaggio per la Vita che ancora continua e che adesso é anche un pó il mio…
C.
Racconto al Contrario
“…Quel giorno in cui tutto sembrava girare al contrario e per questo era bellissimo, in città sembrava essere primavera invece era autunno…”
Quel giorno che tutto sembrava girare al contrario e per questo era bellissimo, il pubblico si presentò in perfetto orario e questo per la città era impensabile.
Sempre quel giorno che tutto sembrava girare al contrario e per questo era bellissimo, al posto di una parata militare il pubblicò iniziò a ballare cumbia assieme alle giocatrici perché come è opportuno ricordare tutto sembrava girare al contrario ed era bellissimo.
Anche il campo da Rugby era girato al contrario per creare due piccoli campi da calcio sempre seguendo lo stesso principio della giornata.
Per cui quella domenica in cui tutto il pubblico era in orario e non beveva nemmeno le birre, le giocatrici si sfidarono sul campo che poi erano due.
Siccome era chiaro che tutto sembrava girare al contrario e per questo era bellissimo, sembrava che le partite finissero sempre in parità, o almeno cosi alcune giocatrici dissero, e che non vincesse mai nessuna squadra e nessuna perdesse.
Quel giorno in cui tutto sembrava girare al contrario e per questo era bellissimo, in città sembrava essere primavera invece era autunno (era palesemente un effetto del cambiamento climatico, non una cosa bella, ma comunque degna di nota).
Nessuno faceva foto o video ma si godeva la giornata di primavera che poi non era primavera ma autunno.
Alla fine delle partite partirono dei fuochi d’artificio, ma era giorno invece che notte, ma fa lo stesso piacciono sempre.
Terminati i fuochi c’erano solo due squadre in campo.
Molto numerose, che si guardavano con cuori aperti e sorrisi complici.
Da una squadra, quella locale immagino, partì un canto di resistenza, incredibilmente molto intonato nessuna voce copriva l’altra come a voler essere realmente un coro.
Fu quello a far capire a tuttx che in quello giornata tutto veramente girava al contrario e per questo era bellissimo.
Anzi Meraviglioso.
S.
TECH-BLOCK!
“… un mese di progettazione, cavi, nastro isolante, problemi risolti, TECH-BLOCK! Un mese di sforzi e sacrifici completamente ripagati…”
E se ti dicessi che dobbiamo organizzarci per ospitare un po’ di persone qui la settima prossima?” Comincia così il mio percorso personale per la gira, con un compagno che con un briciolo di follia ci ha catapultati nel “giubileo di Acrobax”. Per fortuna la settimana di tempo diventò un mese: un mese di progettazione, cavi, nastro isolante, problemi risolti, TECH-BLOCK! Un mese di sforzi e sacrifici completamente ripagati vedendo arrivare la squadra di calcio femminile delle compas al centro del campo da rugby investite da un raggio di sole venuto fuori chi sa da dove, da quegli sguardi di complicità: le mascherine possono anche non essere un impiccio se sai leggere gli occhi.
A.
Gato-Perro trova casa
“…lo spazio pieno di vita, i fiumi di caffè. Uomini e donne di mais nella città dei sanpietrini…”
Giornate folli, come in un tempo sospeso, indefinito, che scorre veloce e lentissimo insieme. Come quando nei sogni più strani e vivaci, luoghi e persone apparentemente distanti, scollegati nello spazio e nel tempo, si ritrovano in una storia comune. Nel mondo reale non potrebbe accadere ma nei sogni tutto diventa possibile. È stato anche un po’ questo il tempo della Gira qua a Roma.
Uno strano sogno che è diventato Organizzazione, Forza Collettiva, Utopia Concreta.
Nelle settimane precedenti ci hanno accompagnato l’insonnia e la frenesia per cercare di costruire insieme qualcosa che sembrava fuori dalla nostra portata. L’incertezza nel sapere di un’onda umana in arrivo, un’Invasione Consensuale…avremmo saputo gestire la situazione? Abbiamo alzato il tiro e deciso di volare in alto con gioa e giusta incoscienza. Anche il tempo è volato, e tutto d’un fiato è arrivato il momento tanto atteso.
Poi, subito dopo i primi arrivi, quando tutto sembrava pronto… il diluvio, possibile presagio di un naufragio imminente, che invece non c’è stato…l’Extemporanea è approdata a Roma, tutto in qualche modo si è composto come in un bellissimo puzzle…la gioa di vedere un pezzetto di Selva Lacandona vivere dentro la nostra Giungla Romana.
Le Palomitas che scorrazzano in giro per lo spazio inseguite dalle loro madri, le file ordinate in attesa dei pasti, gli incontri in piedi sotto la pioggia, lo spazio pieno di vita, i fiumi di caffè. Uomini e donne di mais nella città dei sanpietrini, si sono ritrovate dopo un mese in giro per quella strana terra conosciuta come Slumil K’ajxemk’op.
Gli sguardi stanchi, ma sorridenti e felici della Brigata Salute, del Gruppo Cucina, del Teck Block, degli Zapatisti, di chi faceva turni all’Accoglienza e alle Pulizie, delle compagne del Gruppo Autotutela, delle compagne e dei compagni della Rete Nazionale ed Europea…tutte e tutti hanno fatto vivere, e vissuto, un Caracol sulle rive del Tevere. Lo abbiamo fatto insieme, come poche volte è accaduto.
Poi, l’ultimo giorno, tante e tanti venuti per il saluto finale.
L’inizio del torneo, il sole, inatteso, e l’ingresso in campo dello Squadrone Ixchel Ramona a tempo di
musica…il cuore che batte forte e la realizzazione di avercela quasi fatta…il torneo vinto da tutte, i saluti e gli abbracci, i cori, i fumoni e i fuochi d’artificio, il nostro modo di dire grazie; gli sguardi verso l’alto delle Palomitas e delle centinaia di persone presenti. La Cumbia Sobre el Mar che ci accompagna verso la sera…
La pioggia con la luce dell’alba, lo spazio quasi vuoto e gli storni in volo sul campo che si muovono come la FAZ (Fuerza Aearea Zapatista) per salutare con un abbraccio le compagne e i compagni di LAPAZ ROMA.
La Gira è stata molte cose. Tra queste l’impegno senza sosta di tante e tanti. L’incontro dell’Autonomia Zapatista con tutti e tutte coloro che non sono mai state in Chiapas. La sfida di mettere da parte le differenze e gli scazzi tra singoli e strutture per volgere lo sguardo verso un comune orizzonte. La complicità tra compagne e compagni mai conosciute prima. La sfida dell’Organizzazione. La semina durata un anno che porterà i suoi frutti nel tempo. Se lo vogliamo.
Il gato-perro si affaccia sul piazzale vuoto, in cerca di cibo, è triste per la partenza della Extemporanea, ma felice di aver trovato una nuova casa. Un altro pezzetto di storia della città ribelle e mai domata è stato scritto ed è tempo di guardare avanti.
Il Viaje por la Vida continua…
Hasta pronto Compañer@s
M.
Companera, Companero
“…le bombe d’acqua, le trombe d’aria, il caffè bibbitone “mettece un po de cannella”, i transfer coi pulmini, i vademecum, l’autotutela, i turni, i gruppi, l’agenda, e “il CNI bis dove lo mettiamo”…”
Restituire. Ci provo. Tipo flusso.
Comincio dalla fine, dal saluto alle 4 di notte. I pulmann che ingurgitano valigioni, le
temibili palomitas che dormono leggere, affondando sulle spalle, i compagni e le
compagne che salgono ordinati nell’umidità. Abbracci per una vita, saluti come in gita da
dietro i vetri.
Promesse che cadono dentro, per un’altra vita.
Riavvolgo il nastro, i giorni al cinodromo, le veglie, i giorni ad ararat, le bombe d’acqua, le
trombe d’aria, il caffè bibbitone “mettece un po de cannella”, i transfer coi pulmini, i
vademecum, l’autotutela, i turni, i gruppi, l’agenda, e “il CNI bis dove lo mettiamo”, “se
piove a lucha il primo novembre d’annamo”, i tamponi ogni 72 ore, le olive a colazione su
letto di miele, “loro possono parlà pe 5 ore”, il dia de los muertos, i laboratori, i panuelos
viola, tor marancia, garbatella, san paolo, il quadraro nuovo, il trullo….passando,
sbagliando strada, per l’“autopista”…
Otto giorni, tre incontri al giorno, ogni incontro un pezzettino di rebeldia in più, ogni viaggio
in macchina un risata, un concetto, una domanda in più, ogni colazione, pranzo e cena,
una scoperta in più su come si può essere uomini nella vita quotidiana, rispettosi e non
paternalisti, curiosi ma discreti, gentili ma non maliziosi. Otto giorni in cui mi sono sentita a
casa dormendo nella “stanza del cinema” che era un viavai continuo, con un compagno
d’avventura straordinario, chiamandoci “companero companera” , guardando due mondi
lontani che si univano, che si scambiavano ferite e maritiri, che parlano la stessa lingua, E
il loro amore profondo per la vita. Lotte che scavano per trovare quei pezzi ancora sani di
radici rimaste e che stanno provando ad innestarci piante nuove. Roba che fanno
sembrare semplice, che riescono a spiegare in poche frasi, come se fosse la cosa più
ovvia….oppure rigirando le prospettive: “loro ci vogliono incompleti”.
Nel nastro poi sono rimaste impressionate le domande, tutte quelle domande che ti
frullano quando ascolti le parole de* compas, quando pensi alle loro nonne e alle tue, alla
fatica e alla miseria…che non sai manco de che stai a parla’…
A quelle sei persone che hanno cominciato tutto. In sei? Davero? E noi quanti siamo? Che
significa qui, per noi, dignità? Siamo ancora arrabbiat*? Li stiamo proteggendo i nostri
pezzi di radice? E soprattutto quanti ne stiamo facendo di innesti???
Riavvolgo ancora di più, ma sul nastro non si è impressionato tutto, perchè come per le
parole, nessun linguaggio è così sensibile da descrivere a pieno il vissuto di un anno, di un
percorso che, con tante donne e soggettività non binarie, abbiamo fortemente voluto,
pensato, sentito. Con alcune non ci conoscevamo, ma abbiamo intrecciato le nostre storie,
incastrando sempre di più tempo ed energie. Ci siamo riconosciute, ci siamo messe dove
volevamo stare, ognuna con la sua diversa postura, inclinazione, aspirazione, ciclo,
paturnia, determinazione, entusiasmo….con la consapevolezza di accogliere ed ascoltare
le compagne che venivano dall’altra parte del mondo, un mondo di cui facciamo parte, in
parte, e di cui, dall’altra, ne incarniamo la contraddizione.
La forza delle compagne zapatiste, delle curde e di tutte coloro che hanno lottato e che
lottano ci ha dato l’opportunità di stare in un percorso molto più grande, così, come siamo.
Di stare in una macchina organizzativa enorme che abbiamo creato tutt* insieme,
incredibilmente sobr*, incredibilmente entusiast*, incredibilmente presenti in ogni passo.
Il regalo più bello che ci hanno fatto: farci mettere in moto, scrollarci dalle nostre realtà
stantie di movimento, metterci in discussione.
Il regalo più bello che possono lasciarci è che questa roba enorme la facciamo
sedimentare, la rigiriamo nel vortice di teoria e pratica; che guardiamo con occhi nuovi
errori e riuscite, scazzi e hevaltì, quello che abbiamo fatto e quello che non abbiamo fatto.
Che continuiamo a prenderci cura e ad educare quel “noi”.
E che continuiamo a chiamarci “companera, companero” perché ogni giorno davvero lo
siamo diventat* un po’ di più.
F.
Specchi
“…E’ bellissimo già da quella sera tra tamales e tortillas, sentire come i sorrisi, gli sguardi, le parole sciolgano la stanchezza e l’incertezza…”
Eccole le mamme, i bimbi e le bimbe dell’ormai famoso Comando Palomitas. Le abbiamo aspettate
tanto, immaginate di più, ed ora sono qui sedute ad una lunghissima tavolata dove restano pochi
avanzi di cibo qualche bicchiere e le sedie vuote dei bambini che si sono già alzati da tempo per
andare a giocare fuori.
Quando entriamo Erica, Simona, Peppe, Renato ed io ci accolgono con un grande applauso però si
sente che sono un po’ preoccupate da questo nuovo cambiamento di casa. Stanno bene qui con i
compagni e le compagne della macroaerea centro Italia. Con Fabio “caballo” che si commuove
quando Veronica l’amazzone cambia cavalcatura e si addormenta sul seggiolino del furgone che la
porterà a Roma. Arrivo in serata a Lucha, la casa che le ospiterà per i giorni in cui saranno a Roma.
E’ bellissimo già da quella sera tra tamales e tortillas, sentire come i sorrisi, gli sguardi, le parole
sciolgano la stanchezza e l’incertezza. I giorni e le notti che vivremo insieme saranno un tesoro da
custodire. El dia de los muertos facciamo l’altare per ricordare. Scriviamo i nomi dei nostri morti su
un cartoncino e ci raccontiamo le storie. Erica arriva dove noi non arriviamo e attacca i festoni. E’
bello il nostro altare tutto bagnato dalla pioggia che non ha dato tregua. Ci scambiamo brividi e
sorrisi nel freddo della mattina e sarai la companera de mi alma. Companeras de nuestras almas!
Il caracol è vuoto. Non c’è ancora quel calore, quella vita che renderà ogni angolo, ogni spazio
giusto per qualcosa.
Giro di ispezione dello spazio con tre coordinatori zapatisti arrivati prima degli altri proprio per le
verifiche. Mostriamo gli ambienti, spieghiamo come ce li stiamo immaginando…ancora quasi
niente è pronto. Tante domande, appunti presi in piccoli quaderni sgualciti. Numeri che non sono
mai uguali. “Y las mujeres? Mas con el grupo de apoyo…mas con las acompanantes mas….” E si
ricomincia a contare! Risate di fronte al ring e agli atleti che si allenano ancora nella loro palestra
che presto si trasformerà nel luogo del riposo di 60 compagne zapatiste. Arriveranno qui da tutta
Europa per riunirsi con gli altri compagni e compagne prima di proseguire la Gira in zona 3. A
breve gli atleti e le atlete non potranno più entrare in quello spazio che conoscono centimetro
dopo centimetro per averlo costruito, difeso, vissuto per tanti e tanti pomeriggi e serate. Tra poco
quello spazio sarà altro.
Proseguiamo con la visita, si conta di nuovo, si propongono sistemazioni e alla fine sembra che
tutto sia andato bene. Andiamo in cucina a preparare la cena e Marco rovescia un bicchiere pieno
di sale. Ci guardiamo: ma mica siamo superstiziosi noi?! Poco dopo Ivan ci chiama da sopra,
dall’abitativo dove abbiamo sistemato i compas, lo specchio del bagno è caduto e si è rotto!
Quello che ci scambiamo con Cristiana è uno sguardo che inizia ad essere preoccupato…e poi
subito dopo arriva la bomba d’acqua di novembre quella che farà parlare di quanta ne è caduta in
un minuto. Una quantità d’acqua impressionante che cerca e subito trova il modo per infiltrarsi
tranquilla e costante nelle belle stanze preparate con lenzuola profumate di tante storie e colori
diversi.
Entra a rivoli nella stanza dove i compas continuano a scrivere sui loro quaderni. E noi mani rosse
da tanti stracci strizzati nell’inutile tentativo di limitare i danni, secchi a raccogliere le gocciolone
che bagnano materassi, per fortuna solo due, e stanze e corridoi…poi un botto fortissimo e tutto
finisce. Alla fine dei tre giorni ci salutiamo, siamo stati bene nel nostro caracol. Un abbraccio. Un
abbraccio è per sempre, è un patto che si rompe solo quando uno dei due decide di rifiutare
quell’abbraccio. Pensaci. Giochi di stormi e mani che salutano.
V.
Viaje de Vita
“…un viaje de vita che ha lasciato un segno indelebile, una nave su cui si sale ma non si scende…”
La Gira Romana è stata un “viaje de vita” che ha lasciato un segno indelebile, una nave su cui si sale ma non si scende. Tanta la fatica, ma anche la voglia di impegnarsi ed essere utili. I sorrisi ricevuti sono stati la ricompensa inattesa e più grande.
C.
Stormi
“…La storia del periodo della finca, raccontata in lingua tocholabal, un regalo inaspettato…E abbiamo continuato a sorriderci con gli occhi anche noi dietro quelle mascherine”
Madri che si confrontano sulla digna rabbia. Quella che spinge una madre a lottare ancora e ancora insieme alle altre, in nome dei figli.
Popoli in lotta, in differenti geografie, che parlano di autogoverno, di sconfitte e di vittorie, dei troppi compagni persi in questa lotta, dell’autonomia che non arriva dall’esterno, che o ce l’hai nel cuore o non avrai la forza di combattere per preservarla e l’energia di realizzarla insieme agli altri.
Quei sorrisi timidi e profondi, sinceri, della prima generazione 100% zapatista.
La storia del periodo della finca, raccontata in lingua tocholabal, un regalo inaspettato, di rivendicazione delle proprie origini, di quelle radici che la violenza coloniale pensava di aver strappato e che invece resistono e orgogliosamente si riprendono il proprio spazio.
E poi i volti delle mie compagne, stanchi ma carichi di entusiasmo. Donne dalle vite intense, che hanno scelto di ritrovarsi, seminare senza sapere se e quando avrebbero raccolto, che si sono assunte le proprie responsabilità e che per giorni erano li, sempre al loro posto, sempre presenti, disposte nello spazio, l’una con lo sguardo sull’altra e su quegli uomini e quelle donne, dalla pelle del colore della terra, arrivati fin qui per consegnarci il dono della fiducia.
Fiducia.
Fiducia, che li avremmo attesi.
Fiducia, che ci saremmo organizzati, insieme, nonostante le nostre differenze.
Fiducia, che avremmo saputo ascoltare e comprendere la loro storia.
Fiducia, che la loro storia, avrebbe parlato anche alla nostra.
Fiducia, nella nostra capacità di accogliere, rifocillare, curarsi di chi era arrivato fin qui attraversando un oceano, lasciando a casa figli e figlie, madri e padri anziani, abitudini, certezze e incertezze. Delegati dalle loro comunità per un compito estremamente importante: conoscere l’Europa indomita. Tessere, attraverso l’ascolto e la parola, una trama di relazioni potenti fatte di solidarietà e condivisione, non di cose materiali, ma di passioni che ci muovono alla resistenza e all’autorganizzazione.
E in questo processo lungo un anno, ma che seminava già da tempo nei nostri cuori, ad un certo punto è successo qualcosa di curioso…una sfida raccolta e vinta grazie all’entusiasmo e alla generosità di molti: abbiamo scelto una casa comune, insieme con sudore e fatica l’abbiamo inaspettatamente trasformata in un piccolo caracol al centro dell’idra capitalista, che abbiamo chiuso fuori per 4 lunghi e brevissimi giorni. E abbiamo saputo accogliere. E abbiamo saputo organizzanizzarci. E abbiamo saputo unire le nostre differenze e le nostre competenze. E abbiamo continuato a sorriderci con gli occhi anche noi dietro quelle mascherine. Stanchi ma felici. Giunti da tutta Italia e da tutta Europa. Giunti da tutta la città per organizzarsi insieme. Anche chi non lo faceva da anni. Anche chi in tanti anni non lo aveva mai fatto. Dimostrando che si può fare! Che finché saremo separati ci sentiremo sempre inadeguati, avremo sempre paura a sfidare i limiti che ci si pongono davanti. E scoprire invece, che insieme, possiamo tutto.
Fiducia.
Ecco quale seme erano venuti a piantare nei nostri cuori, già molto tempo fa, gli zapatisti e le zapatiste. La fiducia in noi stessi e negli altri. Quella fiducia che si trasforma in speranza e che non serve a nulla se non ce l’hai dentro.
Quella che guida uno stormo di uccelli in un meccanismo perfetto in cui ogni uccello interagisce con i suoi vicini più prossimi. In cui i movimenti di ogni esemplare influiscono sull’intero gruppo e contemporaneamente sono influenzati dall’intero gruppo. Permettendo la propagazione delle informazioni attraverso lo stormo a una velocità costante. E il risultato è un processo decisionale collettivo, così agile, che permette, al segnale di “virare”, generalmente avviato da un uccello al margine del gruppo, di raggiungere tutti i 400 esemplari di uno stormo in mezzo secondo, ovvero alla velocità di più di 100 chilometri orari…
Quel piccolo stormo di uccelli in formazione, che è venuto a salutare in una limpida e uggiosa mattina di novembre dell’anno 501.
Sotto l’occhio attento del gatto cane, giunto in anticipo, per controllare che tutto fosse pronto, e che per ora, soddisfatto, ha deciso di restare qui, vicino ai nostri cuori.
Saremo capaci di continuare a seminare sogni e trasformarli in realtà?
E di continuare a farlo insieme?
C.
335 Fratelli
“…ho avuto l’onore e il piacere di accompagnare un piccolo gruppo della delegazione zapatista alle Fosse Ardeatine…avreste voluto abbracciarmi, battevate le mani e avevate gli occhi lucidi…”
Assieme a mia moglie Silvia, ho avuto l’onore e il piacere di accompagnare un piccolo gruppo della delegazione zapatista alle Fosse Ardeatine, ed è a loro che mi rivolgo.
Non eravate turisti, ma compagni che venivate a conoscere ed a piangere la morte di 335 fratelli. Vi ho raccontato di quando nell’estate del 1944 io, quindicenne, ho visto i cittadini romani e i parenti delle vittime innocenti scavare nelle gallerie franate per estrarre i corpi di loro padri, mariti, figli, fratelli. Li vedo ancora quei poveri corpi, con le mani legate, allineati a terra lungo le gallerie, uno vicino all’altro. Quando per l’emozione del ricordo mi si è strozzata la voce, avreste voluto abbracciarmi, battevate le mani e avevate gli occhi lucidi.
Addio cari compagni, non credo che vi incontrerò ancora, ma le poche ore passate insieme, mi hanno ribadito la forza di cose come l’impegno, la perseveranza, l’altruismo, la comunità, e hanno confermato il valore, in ogni parte del mondo, delle parole ORA E SEMPRE RESISTENZA.
E.
Vuoti e Pieni
“…noi che in questi mesi, anche senza conoscerci e, a volte, senza neanche sapere che faccia avessimo siamo riuscitei a sentirci ingranaggi di una stessa macchina…”
care compagne, cari compagni, caroa compagnoas,
vi scrivo dal mio piccolo viaggio di ritorno in treno verso casa. vi scrivo dopo l’ennesima emozione di questa gira. un anno fa stentavo a credere, come ognunoa di noi, che tutto ciò sarebbe successo e invece l’invasione è iniziata davvero. andando via questo pomeriggio dal CompArte, sono uscita come quando chiudo la porta di casa, sapendo di lasciare alle spalle qualcosa che in parte è anche mio, ma soprattutto sapendo che, tornando, avrei trovato lo stesso calore di oggi. non parlo del posto fisico, o non solo. parlo di tuttei noi che in questi mesi, anche senza conoscerci e, a volte, senza neanche sapere che faccia avessimo siamo riuscitei a sentirci ingranaggi di una stessa macchina magica inventata per l’occasione. parlo anche dei compagni e delle compagne zapatiste, del comando palomitas, delle compagne e dei compagni del cni, che con le loro parole ci hanno insegnato che tutte le lotte sono figlie e madri di uno stesso desiderio, quello che ognunoa di noi abbia le stesse possibilità, gli stessi diritti, le stesse opportunità, che non si senta esclusa o venga emarginato per la sua provenienza, il suo modo di essere, le sue capacità, che tuttie siamo libere e liberi di scegliere, non condizionatei da scelte prefabbricate e preconfezionate ad hoc per noi (oppure per le terre e per le persone che amiamo) da qualcun altro che pensa solo al proprio guadagno e al proprio profitto.
abbiamo fatto tanto, avremmo voluto fare di più, farlo meglio, c’è tanto ancora da fare. quando avremo salutato le nostre compagne e i nostri compagni che hanno percorso migliaia di km per arrivare qui da noi e condividere con noi le loro lotte, le loro sconfitte, i loro traguardi e i loro progetti e per ascoltare i nostri racconti di lotte, sconfitte, traguardi e progetti…ecco, quando se ne andranno, probabilmente ci sarà un vuoto. non so come e quando saremo in grado di riempirlo però potremmo ricordarci come ci sentiamo e come ci siamo sentitei in questi giorni, ognunoa con la sua esperienza, con i sorrisi che ha dato e che ha ricevuto, con le parole di gratitudine che ci sono state rivolte. potremmo ricordarci di come ci siamo sentitei meno sole, ma anche onorate, onorati e grate di aver potuto accogliere i nostri compagnoas o forse anche fratelli e sorelle zapatiste e ripensare alla bellezza di aver condiviso qualcosa di unico, di cui continueremo a parlare, ognunoa nelle proprie latitudini per anni.
post scriptum (ma soprattutto post despedidam!): è successo subito dopo aver lasciato il campo del cinodromo nella penombra, il senso di vuoto è arrivato. in questi giorni, mentre cerco di riempirlo e di scacciare via la tristezza a suon di “cumbia sobre el mar” capisco che il vuoto è solo apparente o forse è solo nostalgia e che, in realtà, i fili che abbiamo intessuto da un anno a questa parte ci tengono legati e ci impegnano a continuare a lottare insieme e a tenere vivo l’ascolto dell’altroa e l’esercizio della solidarietà, ad ogni costo.
C.
In Movimento
“…Per la prima volta dopo tanto, davvero tanto, ho sentito che il movimento può esser ancora anche casa mia…”
Ho partecipato al lungo percorso a mozzichi e bocconi…mozzichi a volte un po’ ostici ma bocconi gustosi…due delle tante cose che mi restano? La conoscenza di persone e di realtà prima inesistente o più superficiale; la “familiarità”, l’accoglienza, l’umanità con cui ci siamo relazionati. Per la prima volta dopo tanto, davvero tanto, ho sentito che il movimento può esser ancora anche casa mia. Spero che ci creeremo nuove occasioni per rafforzare questa vibrazione, questo senso di comunità, questo riconoscere simile e vicin* chi partecipa, riconoscerle/gli valore, dignità, fiducia solo per il fatto che è lì, a prescindere dalla quantità, dalla storia e dalla visibilità del suo apporto al movimento. La lucha sigue!
S.
Impressioni nell’Anima
“…Il compa che ci prende per il culo perché abbiamo messo nell’altare la bandiera dell’EZLN, ustedes piensas que la democracia, la justicias y la libertad sean muertas?…”
Il sapore del cafè de olla fatto per l’arrivo del primo gruppo di mujeres, con la ricetta di Vane.
Il sorriso di Marichuy.
L’attenzione e l’empatia dei compas quando il compañero Elio racconta con emozione la strage
delle fosse ardeatine.
La palabra a La Strada, la gente che prende appunti, neanche una foto, solo quelle stampate
nell’anima.
L’incontro con le Palomitas e le 7 meravigliose mujeres che le accompagnano: Amada, Andrea,
Marina, Erica, Libertad, Naiali e Claudia.
Le loro storie, differenti, come le loro lingue, come le zone e i caracoles da cui provengono.
Le risate, quelle, tutte uguali, in tojolabal, tzeltal, cho’ol, tzotzil e anche in italiano.
Amado, che aqui esta’ representando a miles de niños y niñas zapatistas.
Gli occhi di Maite che ridono mentre si rincorrono facendo i giaguari.
Chinto che le regala un girasole preso in prestito all’altare di Lucha.
Veronica che mi chiede di accompagnarla al bagno perché deve fare 25.
Chuy motosierrista dalla risata incontrollabile e Lupita che salta felice sui tappeti del circo.
Io e Simo che pedaliamo su un risciò carico di bambini e bambine, Mas rapido compañeras! mentre
intorno a noi un magnifico comparte y conciencia prende vita.
Il compa che ci prende per il culo perché abbiamo messo nell’altare la bandiera dell’EZLN, ustedes
piensas que la democracia, la justicias y la libertad sean muertas?
E poi il Caracol Acrobax, con centinaia di persone organizzate per aggiustare, pulire, cucinare,
curare, tamponare, risolvere, servire, aiutare… e 180 uomini e donne del color de la tierra che
incredibilmente si sentono a casa loro, pur standone a migliaia di chilometri.
E quando in piena notte comincia l’ora della despedida, le lacrime, i sorrisi, gli abbracci, i pugni e il
regalo più bello.
Gracias compañera, gracias compañero, que te vaya bien, cuidate mucho, hasta pronto…y que
siempre siguen luchando! Pues..
E.
VOLARE ALTO
“…Pugni abbracci un messaggio in movimento un legame: indissolubile…”
E Il minivan prende il largo,
i pensieri: cristallizzati.
Pugni
abbracci
un messaggio in movimento
un legame: indissolubile.
I passerotti cantano,
il cielo si commuove.
E la gira zapatista va.
09.11.2021, Roma, Slumil K’ajxemk’op.
BC.
Gioia negli Occhi
“…Un pulsante, un filtro, una manopola che è stata girata al massimo, che ha reso tutto più intenso, più largo, più aperto e soprattutto possibile…”
Ho sempre pensato che il nome di “libera assemblea pensando/praticando autonomia zapatista” fosse un tantino azzardato… lo è, lo penso ancora, ma con un pizzico di stupore in più, perché collaborazione vera e complicità, durante l’avvicinamento e la fase di accoglienza, si sono date ad ogni livello. Anche se ci siamo sforzatə tanto in questi giorni, ho sentito nel riposo, di mantenere questa gioia negli occhi, pronta a commuovermi… un po’ come se si fosse sbloccato un chakra zapatista.
Un pulsante, un filtro, una manopola che è stata girata al massimo, che ha reso tutto più intenso, più largo, più aperto e soprattutto possibile. Un sentimento mai provato, se non forse da adolescente durante l’Onda.
Avrei voluto sentire in quel periodo una delle frasi ascoltate durante la Gira romana, che mi rimarranno sempre nel cuore, per la schiettezza, la simplicità, la lucidità: “il sistema educativo istituzionale è come i grandi allevamenti intensivi…animali indotti e ridotti all’ingrasso per ottenerne la massima rendita e produttività”.
I cazzotti emotivi che portano a reagire.
Un sacco di sveglie
V.
Una storia sbagliata
“…Te ricordi quando siamo andati a Gaza? Ecco, è inutile che fai il difficile, tanto lo sappiamo tuttə che devi fa’ parte di questa cosa e che ce starai…”
Ho ragionato molto su come raccontare questa storia. Una storia fatta di cose vissute, di sensazioni, di emozioni, di sorrisi, di rosicate, di sguardi, di corpi, di complicità, di sfighe, di cose tecniche che nessuno capisce e di cose tecniche che tutti pretendono di capire, di magia, di politica, di modi di fare politica, di guerriglia e di auto-organizzazione, di persone. Alla fine, solo di persone. Una storia vera eppure una storia che ha il sapore dell’illusione, fantasia per la mente che confonde la realtà con le parole. Gli occhi non mentono, il corpo non mente, mai, ma le parole sì, le parole sanno mentire. In fondo, la verità di ognunə di noi è quella che decidiamo di raccontarci al di là di tutto, al di là dei vissuti, al di là di noi stessə. Bella o brutta che sia, intensa o superficiale, la nostra storia vive nelle parole che riusciamo a raccontare. Vive nei ricordi indelebili e in quello che scegliamo di ricordare. Allora come la racconti una storia così, fatta di contraddizioni e bellezza? Forse, cominciando dall’inizio o, meglio, dal principio della fine che è sempre la parte più intensa.
“Silvio, vai al mixer e accendi, qua ce pensamo noi, così capimo se funziona tutto.” Daje. GIRA che Ti RiGira TeckBlock!
[MUSICA: Welcome to the Jungle – Tash Sultana]
(da 01:19) La GIRA Zapatista è in città da circa due settimane. Dopo un anno di un percorso fatto di ostacoli misti a follia collettiva, finalmente ci riusciamo a fermare, a prenderci del tempo per riposare e chiacchierare. Svago della mente e risate, tante. Sulla curva “Fight” proseguono i laboratori. Come formichine instancabili si inchiostra, si stampa, si imprime. Tele su tele, telai su telai, incisioni e magliette, tante magliette. Da un lato. Dall’altro ci si riveste di abiti che sappiano contrastare il brilluccichio che permane sui volti. Strass e Glitter. Il programma della giornata è praticamente terminato. Un programma che, in fondo, nessunə ha mai saputo bene quale fosse e questo mi è sempre sembrato in perfetta sintonia con l’assoluta asincronia tra l’organizzazione cercata a lungo e l’incapacità di poter determinare con certezza l’evolversi degli eventi. “Ah Cla’, ma quindi quello che abbiamo letto è la giusta sequenza di cosa accadrà oggi?” “Vabbè, mo, non è che la devi considerare come ‘na cosa immutabile. Oro colato! Eeehhh, diciamo che per ora è così, ma le cose cambiano. Bisogna esse’ fluidi!!” Grandi risate. Eh, ma che se ridemo! Alla fine siamo arrivatə fino a qua e per chiudere la giornata entro le 16:00, come ci è stato chiesto, manca far suonare l’ultima banda. Quellachefacumbia. Manca circa mezz’ora e tutto deve finire, tuttə devono andare via. Beh, quasi. Poi bisognerà smontare tutto quanto è stato allestito, dalle casse, ai cavi, ai laboratori, alla zona pranzo, alla fondamentale zona caffè, ehm quello vero, ecc … Quando fai parte del TechBlock sei in una posizione davvero molto particolare, diciamo … “speciale”, perché devi riuscire a sapere tutto quello che accade, prevedere una serie di possibili variazioni, immaginare una certa quantità di cose che non ti sono state dette e, sempre e comunque, anticipare, improvvisare, trovare soluzioni a tutto, chiaramente nel rispetto di tempi e modi su cui, quasi mai, hai il controllo. È una posizione privilegiata perché ti permette di osservare davvero le persone per come sono, il loro modo di interagire, ma soprattutto ti mette alla prova, sempre. Sei costantemente a confronto con te stessə, con i tuoi limiti, con le tue capacità, con le tue idee, con le tue emozioni. Un privilegio. Un accollo infinito. Un “premio” infinito, come direbbe la nostra dispensatrice di “premi” preferita! E di “premi” il TechBlock ne ha dovuti affrontare davvero tanti in questa Gira por la Vida in 7 principi.
A dire la verità io non ho fatto parte dall’inizio di questa storia. Ho sempre seguito il percorso grazie ai report e ai racconti di chi, dall’inizio, mi ha detto “Ah Si’, ce devi sta’!!” Certo, ho dovuto scegliere come starci. Quando. “Te ricordi quando siamo andati a Gaza? Ecco, è inutile che fai il difficile, tanto lo sappiamo tuttə che devi fa’ parte di questa cosa e che ce starai. Lo sai pure tu. Sai che questa cosa è un pezzo importante di storia dei movimenti. Ce devi sta’, punto!” Alla fine, che glie v’oi di’?! Semplice e pulito. Un ragionamento inattaccabile, almeno per uno come me. Lo so. Alla fine mi ci sono avvicinato un pezzettino alla volta. Alla fine c’è stata la meravigliosa tre giorni di Renoize. Alla fine mi sono guardato intorno e c’era il TechBlock. Alla fine ho conosciuto Lei. GIRA che Ti RiGira TeckBlock, solo premi!
[MUSICA: Sixteen Tons of Pressure – O.B.F. & Charlie P]
(da 00:36) Sono le 15:40 e tra ventiminuti la giornata deve finire, almeno così ci era stato chiesto. Sono quindici minuti che siamo in totale sospensione e non sappiamo cosa fare. L’ultima banda deve suonare. Quellachefacumbia. Greta, la figlia di Orko, ha riempito di stampe tutti gli spazi possibili di una borsa di tela che le hanno dato al laboratorio. Manco fossero i miei pantaloni presi al mercato di Camden. Super Patchwork, yeah! Si è divertita un sacco e io sono supercontento di questa cosa. Orko ha esordito oggi in questa grande follia che stiamo vivendo ed è pronto a smarmellare tutti i canali del mixer, 01. “Allora tiro su tutto?!” “Aspe’!” Abbiamo sistemato un improbabile palco rivolto verso le tribune e siamo prontə a far iniziare la festa dei saluti, la chiusura di questa giornata, la fine di un percorso durato un anno e la conclusione di settimane di “premi” per tuttə. Despedida. La banda è pronta. Aspettiamo solo il via. Aspettiamo, perché loro, i 180, quella enorme massa di persone in fondo al campo da rugby di Acrobax, il campo delle squadre All Reds, quelle persone hanno deciso di anticipare la loro riunione. Doh! “Ma non potevano aspetta’?!” La cosa bella di un momento come questo, in cui non capisci nulla di cosa stia davvero accadendo e soprattutto non sai cosa potrà succedere è che, alla fine, decidi di rilassarti, di ridere, di sospendere tutto, anche la tensione. Tuttə giù per terra! Il pezzo di prato che separa la porta di destra del campo dalla curva “Fight” diventa il pascolo perfetto per le nostre stanche membra. Gli sguardi interdetti fanno posto ai sorrisi. Le chiacchiere diventano prese in giro, battute, certe “chicche” che se solo fossero state registrate nel vento, rappresenterebbero pietre miliari di una rivoluzione culturale e sociale da far invidia all’Autonomia Creativa degli anni ‘70. Una risata vi seppellirà! E di risate se ne fanno tante. Chi prova a tirare due calci al pallone, ma non si può. Chi annaspa reclamando un giro di canna o un boccale di birra. Non si può. I muscoli che piano piano smettono di contrarsi. I pensieri che si sciolgono al calore di un Sole che, stanco anche lui, comincia a diradare i suoi raggi. Aspettiamo e, in fondo, ci fa bene aspettare. Ancora non lo sappiamo, ancora non capiamo la scelta di anticipare la riunione, di farla proprio nel momento in cui stavamo per chiudere il cazzo di programma della giornata. Un po’ ci rode, un po’ no. Ancora non lo sappiamo, ma è stata la cosa più giusta che si potesse fare e noi non lo sapevamo.
Attorno a me ormai ci sono molte delle compagne e dei compagni con cui avrei voluto condividere questa esperienza. Non tuttə. Moltə. Mi sento davvero fortunato e, mentre il Sole continua a calare, mentre ci vestiamo di strati, a parte Orko, mentre proviamo a mantenere una temperatura mite sui nostri corpi, io mi perdo per un secondo. I miei occhi mi rapiscono e rubano attimi al presente. Guardo il mio Sole e ne sento il calore anche se non lo vedo. Tutto assume una dimensione più tranquilla.
[MUSICA: El Aguante – Calle 13]
(da 00:07) La mi testa tenta una rotazione di 180 gradi, chiaramente limitata dal fatto di avere un collo. Allora il mio corpo le dà supporto morale e si cimenta in una rotazione altrettanto folle che sembra una contorsione lungo un asse storto infilato a forza su, lungo la linea della mia spina dorsale. Giro il mio sguardo e li osservo. Osservo i 180 schierati in formazione. Osservo il CNI organizzare i nuovi gruppi. Osservo i loro movimenti come quelli di un esercito che elabora strategie. E mentre osservo questa scena penso che io sono un antimilitarista da sempre, da che mi ricordo. Mi fa strano usare parole come “esercito” in un contesto di movimento, in uno spazio occupato e autogestito, in un atto di Liberazione come quello che stiamo vivendo. Mi fa strano, eppure trovo la cosa normale. Mi guardo intorno e sono abbastanza sicuro che nessunə oltre a me sta pensando la stessa cosa. A nessunə sembrano così particolari quei movimenti, più o meno ordinati, di “truppe” per la ricollocazione in Zona 3. Per il proseguimento del viaggio. Osservo e penso. Il mio sguardo, richiamato dalla necessità di fare chiarezza, sfiora ancora per un attimo il mio Sole impegnata a fare le sue cose belle ed il mio pensiero torna a qualche giorno prima alla Snia. Flashback.
Lì, il referente della delegazione chiuse l’incontro pubblico togliendosi la mascherina e facendo un lungo e intenso intervento, pieno di passione, condivisione, compartecipazione e analisi politica anticapitalista. Non sono sicuro che il senso profondo di quello che ha detto sia stato compreso appieno da tutte le persone presenti, ma a me ha colpito profondamente la scelta di una parola nel descrivere la loro scelta di agire politico. “Violenta”. Ne avrei voluto parlare con lui a fine incontro. Lui, tra tutte le persone presenti, ha scelto di venire proprio da me. Forse perché avevo la kefia o forse semplicemente ha puntato dritto ed è arrivato lì, al mixer, dove ero io. È una possibilità: tirare dritto e vedere dove vai a finire. Perché no. TechBlock! Io non parlo spagnolo, lo capisco, quasi del tutto, ma non riesco a parlarlo. Certo, frasi sparse, qualche pensiero più ordinato riesco anche ad esprimerlo, ma bisogna essere onesti con se stessə. E io non parlo spagnolo, punto. Riesco a fargli capire che ho trovato molto interessante ascoltare. “eeeh, muy interesante!” Sguardo basso e cerco di chiudere al volo i canali del mixer e di mettere via le mie cosine prima di spingere sul confronto rispetto a quella parola. “Violenta”. Il grande problema è come affrontare la cosa. Tipo: “una pregunta!” oppureeee “Me gustaría discutir ….” Eh, e poi? Il nulla. Già mi immagino la sua faccia confusa, in attesa di un superintelligente intervento riguardo la compartecipazione delle lotte, la loro traduzione nell’agire sui territori per contrastare l’unico vero nemico comune, ovvero il Potere, il Capitale, il Fascismo, facce di una stessa medaglia. E invece, il nulla. Prendotempo. Pochi secondi in più per capire come chiedere aiuto nella traduzione; vorrei chiedergli perché ha usato quella parola e vorrei anche dirgli che non sono d’accordo. Vorrei dirgli che la loro scelta non ha nulla a che fare con la violenza. Che un atto di resistenza, un atto di liberazione non può essere considerato un atto di brutalità. La scelta di reagire ad uno Stato, ad un Sistema violento, brutale, infame e repressivo non può in nessun modo essere messa sullo stesso piano proprio del contesto in cui quella scelta viene fatta. Vorrei dirgli queste e molte altre cose e, soprattutto, vorrei ascoltare le sue risposte, le sue riflessioni. Prendotempo. Non ho la più pallida idea di come cominciare la prima frase. Respiro. Lucida speranza invade il mio cervello stanco. Accanto a me ci sono ben due persone, amici, che parlano perfettamente spagnolo. È fatta! Chiedo a Marcolino. Penso. Lo penso solamente, perché i secondi sono preziosi in questo pazzo mondo della GIRA Zapatista. Il tempo di connettere neuroni ai muscoli labiali che faticano a muoversi e lui viene richiamato per raggiungere gli altri e andare via. Lui capisce, si vede che capisce e con un sorriso gentile si scusa di non poter rimanere. Io, contagiato da tanta gentilezza, sorrido e lo saluto. Un po’ mi rode, ma so che siamo tuttə un po’ al limite delle nostre energie mentali e fisiche ed ognunə deve fare quello che deve fare affinché tutto funzioni. Il mio pensiero vola al grande lavoro che stanno facendo le compagne del Gruppo di Tutela. Grandi. Guardo senza accorgermene la sedia vuota che è accanto a me e cerco un po’ di complicità nel pensiero di Lei. Chiudo gli occhi per un attimo e ascolto le Sue parole che riescono comunque a darmi il senso di quello che stiamo facendo.
Un flashback che dura poco e che mi riporta alle riflessioni in un momento di sospensione, proprio qua, su quell’erba ancora calda che accoglie il mio corpo. Capisco che è proprio il mio essere antimilitarista che mi avvicina molto a loro, agli zapatisti e alle zapatiste. Loro non vorrebbero essere esercito, truppe in movimento. Loro non avrebbero voluto scegliere di imbracciare le armi. Loro vorrebbero costruire giorno dopo giorno una vita degna e vissuta nella libertà di poter scegliere, fare errori, godere delle cose belle, della loro terra. Loro vogliono potersi riconoscere in una comunità che abbia rispetto per ciò che la vita ci offre, che questo Pianeta ci offre. Una comunità che sappia essere umana e piena di umanità. Loro vogliono essere vivi.
Mi guardo intorno e vedo una bella umanità che si prende il tempo di godersi il momento. Poco importa se mancano un sacco di compagne e compagni che in questa città rappresentano un pezzo importante di antagonismo. Mi godo tutto, mi godo ogni singolo istante, ogni singola parola, ogni singolo sguardo e ogni singolo sorriso. Certo, un po’ mi pesa che non siano tuttə qua a godere insieme a me della comunità allargata di cui facciamo parte tuttə, nessunə esclusə. Mi pesa perché mi piacerebbe che loro, i 180, vedessero che anche noi ci riconosciamo in una comunità che sa capire i momenti importanti, che sa essere umana e piena di umanità al di là degli errori, delle rosicate, delle differenze di percorso e dei fottuti personalismi. Non so se sia per questo che non sono qui, ma la loro assenza per me ha un peso, visto che mi piacerebbe condividere anche con loro questa bellezza. Ma io sono un bimbo speciale, con bisogni speciali, desideri speciali, pensieri speciali e faccio le cose in modo … speciale! Come il TechBlock.
[MUSICA: Rebellion – Arcade Fire]
Wheeeelllll up!! Riavvolgi.
(da 00:04) La domenica mattina è sempre un momento difficile. Non c’è orario che io non consideri “troppo presto” per poter lasciare la tenera oscurità della mia camera. I miei occhi, in fibrillazioni di pensieri, si scontrano con le palpebre più pesanti del mondo. Le sveglie risuonano e irrompono nelle mie orecchie schiacciate tra cuscino e coperte. Scuotono neuroni addormentati che si arrendono alla necessità di emettere spike di movimento. Odio. Oggi è domenica e mi aspetta una giornata intensa. La Despedida, il saluto alla carovana zapatista. 7:44 del mattino e l’unico pensiero è dedicato al mio Sole. Esco.
Ho fatto il raccordo anulare ad una velocità prossima a quella della luce. Quasi torno indietro nel tempo e invece vado avanti, inesorabile, perché la situazione ad Acrobax … è complicata! Messaggi e chiamate. Daje Country! La pazzia totale di una gestione tecnica non programmata e che deve distribuire musica e parole su più di centocinquantametri di lunghezza. La nuova sfida del TechBlock è già cominciata.
“Silvio, vai al mixer e accendi, qua ce pensamo noi, così capimo se funziona tutto.” Daje.
Il bello di un pulsante è che nel momento in cui lo premi sai subito se c’è qualcosa che non va. Causa ed Effetto. Azione e Reazione. Una strana interpretazione del Terzo Principio della Dinamica. Premi il pulsante e deve succedere qualcosa. Se non succede, è male! Premi il pulsante, causa – il mixer si accende, effetto. Premi il pulsante, azione – ti torna indietro la musica, reazione. Beh, più o meno!! Premo il pulsante. Niente. Ok! Torniamo all’inizio, all’origine, all’interruttore, non al pulsante. “Rega’, è tutto giù, te credo che non s’accende niente!” Tiro tutto su. Torno al mio bel pulsante della mia bella postazione del mixer, tra le fratte. Premo il pulsante. Si accende. Yeah! Nino comincia ad accendere le casse e tutto va bene. Le altre casse, quelle a metà percorso … boom! Si spegne tutto. Ok! Torniamo all’inizio, all’origine, all’interruttore, non al pulsante. Tiro su, ma non succede niente. Allora torniamo all’interruttore dell’interruttore, un po’ come dire al principio dell’inizio. Corro in cabina ed è giù. La cosa estenuante di non capire quale sia il problema tecnico che hai di fronte quando sei ad Acrobax, non è il problema stesso. O meglio, non lo è in questo caso. Il grande e fottuto problema di oggi, della pazzia che stiamo per vivere, sono le distanze. Lande deserte e sconfinate, vasche infinite che devi percorrere per andare dal punto A al punto B e, se ti dice male, al punto C. Poi devi tornare al punto A. E come nelle scale di Escher vai su e giù come in un limbo continuo ed estenuante fino a trovare una possibile soluzione al problema. Se sei ancora vivo. Ok, il problema è chiaramente elettrico. Ora bisogna solo trovare cosa va in corto circuito e fa saltare tutto. Sono solo 150 metri di prolunghe, sdoppini, ciabatte, VDA e quattro casse. Il mixer funziona, questo s’è capito. Stacca, riattacca, tira su, scatta giù, aritira tutto su. Vai da A a B, ma poi ti serve andare fino a C e poi tornare ad A, chiaramente facendo un passaggio per B. Proviamo ogni singolo pezzo del circuito convinti, come sempre, che avremmo trovato l’elemento fallace, il pezzo guasto, il filo fuori posto che, senza curarsi minimamente di noi, della nostra fatica, del sudore, del nostro nervosismo, della nostra frustrazione, ha deciso di toccare l’unica cosa che non avrebbe mai dovuto toccare nella sua cazzo di vita di filo: un altro filo.
Mentre i tentativi si susseguono, il mio telefono squilla. Dopo una sveglia difficile c’eravamo sentiti ed eravamo riusciti a darci un po’ di supporto, un po’ di energia per affrontare questa lunga giornata. Una giornata che sappiamo entrambi essere importate, non solo per ognunə di noi, ma importante in generale. Ci vogliamo essere, ci vuole essere. Organizzato il materiale e trovata la forza di uscire di casa è arrivata anche Lei ed ha bisogno di una mano. Io voglio darle una mano. Voglio farle sapere che ci sono. Scatta per l’ennesima volta l’interruttore dell’interruttore e i nervi cominciano a cedere perché non troviamo soluzione. Ne approfitto per andarle incontro con un carrello e dedicarle il tempo di un abbraccio. Carichiamo tutto, anche il vetro e torniamo dentro. “Non so dove hanno pensato di sistemarvi. Io devo andare che abbiamo un problema da risolvere. Se scopro qualcosa ti dico, ma sicuro fai prima te. Prenditi un attimo, rilassati. Respira. Sei qua!”
Country, nella sua infinita saggezza ed esperienza comincia a pensare ad un’alternativa. “Attacchiamoci al bagno!” Nel senso. Ora siamo attaccati ad una presa di quelle industriali 16A che parte dal palco grande e percorre tutta la lunghezza delle tribune fino ad arrivare alla curva “Fight”. Un’autostrada di prolunghe. Il bagno è, invece, a metà, diciamo una cinquantina di metri. Magari il problema è che l’interruttore non sopporta la dispersione di così tanti metri di cavo. “Ma dai Country!! … Vabbè, prova. Tanto sennò non famo niente!” A chi serve ragionare in modo logico nel momento in cui nulla sta funzionando in una grande follia collettiva?! Bisogna essere creativə, pazzə, ragionare fuori dagli schemi. “Attacchiamoci al bagno!” GIRA che Ti RiGira TeckBlock, solo pazzie!
Chiaramente funziona. Accendiamo tutto e funziona. Ci guardiamo e vorremmo metterci là a ragionare insieme sul perché la presa al cesso sì e quella buona al palco no. Proviamo a farci delle domande, ma ridiamo e chissenefrega. Pacche sulle spalle, facciamo finta che non ce ne frega niente e sappiamo che in testa abbiamo comunque tutti quella stessa domanda. Domanda: perché un interruttore che gestisce più di 15000 watt non riesce a sopportare 50 metri di cavo e 4 casse scalcinate, mentre una minuscola presa del cesso sembra praticamente non curarsene? Ffffffffffffhhhh – T-u-m-b-l-e-w-e-e-d – Ffffffffffffhhhh! Ecco, il vento del nulla assoluto nei nostri cervelli per un attimo svuotati di centri neurali che producono pensieri. Solo gesti che diventano quasi tic nervosi; nevrosi di spalle vanno su e giù come una GIF infinita. Una risposta che non ha bisogno di essere trovata. Abisso senza luce di una spiegazione inutile che nessunə ha voglia di sentire. Va bene così! Funziona tutto. GIRA che Ti RiGira TeckBlock. Magia!
“Alla fine dove sei?” “In cima.” “Ah ma sulla curva!” Mentre le prime note escono da tutte le casse e noi ci sentiamo soddisfatti anche senza risposte, vado alla ricerca di caffè. Trovo il banchetto con una bevanda scura che ha il vago sapore dell’abissina magia e ne prendo un po’ per me. Mi spiegano che l’altra bevanda è una specie di camomilla con altri strani ingredienti misteriosi di cui nessunə sembra sapere niente. Boh, perché no! Credo abbia bisogno di questo e Le porto un bicchiere. “Ma è camomilla?” “Ehm, più o meno … sìì!” I Suoi occhi si illuminano. Vedo il banchetto per il laboratorio e “Quindi alla fine starete qua?!” “Si!” e poi mi dice “Ma siamo troppo lontani!” “Ti mancherò?” Non risponde, ma tira fuori uno dei suoi splendidi sorrisi. E io non ho bisogno di altro per andare avanti.
[MUSICA: Por el Suelo – Manu Chau]
(da 00:06) Cappellini, cappelini. Cappellini viola per tutte. Mascherine sul viso e bandana rossa al collo. Tra le mani due stecche di legno tagliate e preparate la sera prima da due persone estremamente pazienti. Davvero, molto pazienti. Maglietta nera con una grande foto sul davanti e pantaloni tipo jeans, ma elastici. Scarponcini ai piedi e tanta determinazione, tanta emozione di essere lì, pronte a fare il loro ingresso in campo. Il Sup che coordina ogni attimo, ogni istante di quel momento così intenso per tuttə noi e per tuttə loro. Nestor, uso questo nome di fantasia per proteggere le sua identità, oppure perché non ricordo come si chiama, mi porta una traccia mix di ben quattro pezzi che faranno da colonna sonora alle coreografie che stiamo per vedere. Il momento è davvero carico di emozioni. Nessunə di noi sa cosa aspettarsi. Le altre squadre del torneo di calcio sono già in campo ed anche loro attendono. Attendono di scoprire cosa accadrà e attendono di poter giocare. Insieme. Senza arbitra. Senza regole. Solo nel rispetto della voglia di divertirsi giocando a pallone. Parte la musica e quello che sembra un plotone ribelle avanza e fa il suo ingresso in campo tra l’ovazione generale. La squadra di calcio femminile zapatista si sta presentando. La musica scorre, cambia ritmi che vanno dalla cumbia allo ska alla pazzia totale. Anche i loro movimenti man mano che la musica cambia, cambiano, si fanno più liberi. Loro sono più libere, controtempo, ad un tempo tutto loro, ognuna con il suo ed ognuna che esprime una gioia infinita di essere lì, in quel momento, ora, insieme a tuttə noi. Il torneo comincia in ritardo ed è subito chiaro che non importa a nessunə. Così come non importa a nessunə che in campo non ci siano regole. La bellezza di quello che vediamo e che le giocatrici stanno vivendo è da togliere il fiato. Sicuramente toglie le parole, perché non hanno ancora inventato un termine che sappia descrivere la complessità di emozioni che hanno invaso il campo delle squadre All Reds, oggi, domenica 7 novembre.
[MUSICA: Under Pressure – Willie Nelson & Karen O]
(da 00:26) Il tempo scorre così come il programma della giornata che non è mai riuscito a seguire una linea continua. Ma, in fondo, questa è la Gira Zapatista; non c’è mai stata la minima possibilità di costruire un programma dettagliato e poi riuscire a seguirlo. A pensarci ora, è divertente. A pensarci ora, è stata una delle cose che ci ha fatto completamente impazzire come TechBlock, ma che è un tratto caratteristico, direi quasi un’anomalia simpatica, di questo percorso Por la Vida. Beh, in realtà, neanche troppo anomalia, visto che viviamo nella città di Roma!! In ogni caso la giornata è bagnata da un Sole intenso, caldo, da una primavera che ha sbagliato strada e si è ritrovata al posto di un autunno timido, forse, delicato, che si è messo da parte per quest’unica occasione. L’assenza di alcol porta con se la ricerca di fiumi di caffeina. Caffè espresso, bevanda al caffè poco importa. L’importante è reggere botta in questa giornata pazza e lunghissima. Il tempo scorre e il programma arriva al suo punto finale, nessunə sa come. Sono le 15:40 e tra ventiminuti la giornata deve finire, almeno così ci era stato chiesto. Sono quindici minuti che siamo in totale sospensione e non sappiamo cosa fare. L’ultima banda deve suonare. Quellachefacumbia. Dopo più di un’ora in cui ci siamo presi il nostro tempo, il tempo di rilassarci e di godere del momento che stiamo vivendo, dopo più di un’ora in cui gli abbiamo lasciato il loro tempo, si decide che è ora del saluto. “Daje rega’, tuttə pronti con gli striscioni … la batteria di fuochi … i cartelli … chiamate tuttə!” Loro si mettono in formazione e vengono verso di noi. Noi, con le compagne del Gruppo di Tutela in prima fila arrangiamo una formazione … a zona. Sembra quasi che ci stiamo per preparare agli scontri con la delegazione zapatista. Scherziamo su questo e intanto comincia la festa, comincia il saluto, comincia la fine di questa esperienza. Cori e colori, fumoni e applausi. La Despedida.
Presi dall’entusiasmo e dall’insistenza dell’ultima banda, noi, il TeckBlock decidiamo di fare l’ultima pazzia insieme a loro. È chiaro che sarebbe stato folle farlə suonare rivoltə verso le tribune quando ormai tuttə sono in mezzo al campo. È chiaro che hanno ragione e alla fine si fa tutto, non c’è nessun problema. Siamo TeckBlock anche per questo. Giriamo tutto. Comincia la musica e si rompono gli schemi, la festa lascia da parte la formalità dei momenti e ci unisce tuttə in un’unica comunità resistente. Sistemiamo le ultime cose per cercare di far suonare tutto al meglio, ma le persone ballano e, alla fine, mollo pure io. In certi momenti è meglio lasciarsi trasportare dall’emozione che inseguire un dettaglio che non troverà mai la sua soluzione. È una festa. È la festa. Parlo con un’amica che non vedo da un sacco di tempo e poi mi prendo un secondo tutto per me, per godermelo e per condividerlo. Penso a quanto sia stata giusta la scelta di anticipare la riunione dei 180. Adesso capisco che dopo questo momento non ci sarebbe potuto essere davvero altro. Ma noi non l’avevamo capito. Prendo il telefono e vedo la Sua chiamata. Richiamo una volta, due volte. Niente. Le vado incontro e chiedo cosa sia successo. Niente. Il volto è scuro, teso e io non capisco. Mi arrampico come un koala maldestro su per il muretto della curva e vado da Lei. “Hey, che succede?” “Niente.” “Mi hai chiamato! Dimmi.” “Niente, ti ho cercato perché volevo ballare con te.” Il cuore mi si scioglie proprio lì, in quel momento. Non credo di aver avuto pensieri in quell’istante colmo di estasi. Non ci penso un secondo e Le prendo le mani. “Balliamo!” Mentre ci godiamo quegli attimi di felicità, non c’è più tensione sul viso, non c’è più oscurità.
Stringere le Sue mani tra le mie è come connettersi ad un mondo tutto nuovo, tutto da scoprire. Una porta spazio-temporale verso una dimensione diversa da quella che stiamo vivendo, qua e ora. Avevo già vissuto questa sensazione proprio una settimana fa ad Ararat. Uno dei momenti storici di questa Gira romana. C’era stato l’incontro tra la comunità curda e la comunità zapatista. Era la prima volta che succedeva a Roma e forse anche in Italia. Poi l’incontro pubblico. Lunghissimo. Troppo lungo. Il momento era storico e ne è valsa la pena in ogni caso. In una pausa sigaretta, lontano dalle casse, lontano dalle voci da equalizzare ci siamo regalati un abbraccio. Poi, tornati in postazione, al mixer, ognuno sulla sua sedia, con i propri pensieri, ci siamo guardati e ci siamo tenuti per mano. A lungo. E mentre si faceva un pezzo di storia dei movimenti internazionalisti, io ero lì, io c’ero, ero presente. Mentre quella storia veniva scritta, però, io ero connesso ad un’altra dimensione; io viaggiavo alla velocità della luce attraverso una porta spazio-temporale, completamente perso in un mondo tutto nuovo, tutto da scoprire. Io ero perso nei Suoi occhi ed eravamo lì insieme, mentre la storia veniva scritta.
Dentro ad un abbraccio puoi fare di tutto: sorridere e piangere, rinascere e morire. Oppure fermarti a tremarci dentro, come fosse l’ultimo. (Charles Bukowski)
[MUSICA: Wild Thing – The Troggs]
(da 00:44) A volte la forza di affrontare un’avventura come questa la trovi nelle relazioni che costruisci, nelle persone che ti circondano. La fortuna di aver scelto una vita completamente pazza come quella dell’antagonismo è la capacità di riconoscersi in una comunità sociale e politica che, con tutti i difetti che ha, sa bene che bisogna dare importanza e attenzione alle proprie emozioni, anche se a volte è difficile farlo, a volte è difficile rendersene conto e a volte è difficile farci i conti. La mia fortuna è che ancora mi riconosco in una bella comunità come quella di Acrobax, multiforme e ricca, a volte accartocciata su se stessa e spesso aperta al mondo, piena di errori nella sua storia e di scelte estremamente giuste, sicuramente attenta ai cuori delle persone che ne fanno parte. Una comunità fatta di persone. Belle persone. È vero che la forza di cominciare quest’avventura, a modo mio, l’ho trovata proprio in quella comunità allargata. È ancora più vero che l’energia di affrontarla, giorno dopo giorno, l’ho travata, invece, nei Suoi occhi, nel Suo sorriso, nelle Sue parole, nella Sua voglia di viverla insieme a me. Non c’è niente di male in questo, anzi, è una ricchezza che ha riempito ogni attimo vissuto di un’intensità che non mi sarei mai aspettato, che non ha pari. È stato difficile, è stato politico, è stato intimo ed è stato bellissimo!
Il TechBlock è un’entità misteriosa, estremamente politica nella sua essenza, perché ha uno sguardo discreto, ma attento sulle cose. I dettagli. I dettagli che determinano la differenza tra “funziona” e “non funziona”. I dettagli che poi non sono altro che attimi vissuti, momenti preziosi di vita che scorrono come pezzi di una storia che si racconta da sola, anche se non vuoi ascoltarla. Una storia sbagliata.
GIRA che Ti RiGira TeckBlock. In fondo, anche questo è Renoize.
[MUSICA: Comandante – Gang]
S.
Passione
“…Più di una persona continua a chiamarla la settimana della passione. E credo che si sia trattato anche di questo…”
Più di una persona continua a chiamarla la settimana della passione. E credo che si sia trattato anche di questo, della passione che è stata messa nel costruire, progettare, inventare e organizzare. Una passione frenetica e inarrestabile che ci ha permesso di trasformare e reinventare spazi, come all’ ex cinodromo, dove ad esempio una palestra è diventato un dormitorio. È stata la passione che ci ha permesso di muovere e contribuire al piccolo cambiamento per un altro mondo possibile. È con passione che in quei giorni mi sono dedicata alla Gira. E la passione ci ha aiutato a non sentire stanchezza o fastidi… è stato incredibilmente bello ed emozionante e l’idea di aver fatto parte di un pezzettino di storia zapatista mi riempie il cuore. Adelante compañer@s
M.
Fame e Rivoluzione
“…Siamo noi questo piatto di grano..” perché la rivoluzione ha comunque bisogno di mangiare…”
Appena abbiamo iniziato a parlare dell’invasione consensuale zapatista sembrava tutto cosí aleatorio e lontano… poi piano piano il condizionale è cominciato a diventare futuro, e il futuro si è fatto in un attimo presente… “Dobbiamo fare mangiare 180/200 persone, colazione pranzo e cena”, Chi si occuperà della spesa? Le quantità? 2500 uova basteranno? Quanto riso? Quanti fagioli?(sempre troppi), la pizza? Ma siete matt? E quant saremo a cucinare? Arriveranno persone a dare una mano da altri spazi di Roma e d’Italia, e chi le conosce? Come faremo a coordinarci, a metterci d’accordo?(io che in cucina discuto anche con me stessa…) sembrava un’impresa faticosissima, ai limiti del possibile… Ci siamo divis nelle due cucine che avevamo a disposizione, la maggior parte di noi non aveva mai lavorato e cucinato insieme, io pensavo che non ce l’avremmo mai fatta, che non saremmo riuscit a rispettare gli orari(a volte improvvisi, a volte fantasiosi), che non saremmo riuscit a coordinarci, che sarebbe stato un gran caos… E invece… Abbiamo faticato tantissimo, in alcuni momenti siamo stat nervos, stanch, ma nessuno ha fatto mai mancare il proprio supporto, le proprie competenze, la propria voglia di esserci e di contribuire a quest’evento incredibile, con un’immensa generosità, e, ancora per certi aspetti mi chiedo come, ce l’abbiamo più che fatta… non abbiamo solo sfamato tantissim compagn, abbiamo CUCINATO per loro, con tutta la cura e l’attenzione di cui ognun di noi è stat capace.
“Siamo noi questo piatto di grano..” perché la rivoluzione ha comunque bisogno di mangiare.
V.
Cura
“…Accudiremo il seme che abbiamo raccolto e lo faremo crescere…”
“Gruppo Salute per la Gira Zapatista a Roma: Sono stati giorni bellissimi, di incontro, di ritrovo, di scambi in questa città, su tanti e diversi livelli. Grazie a La Gira abbiamo avuto modo di ritrovare vecchi e nuovi compagni, di contribuire con il nostro saper fare, le nostre conoscenze pratiche e teoriche. É stato emozionante lavorare con responsabilità e serenità agli aspetti sanitari de La Gira in questa fase pandemica in cui abbiamo potuto collettivizzare le nostre conoscenze acquisite in questi anni mettendole a disposizione di tutt*. Nonostante le nostre vite frenetiche, i turni di lavoro sfinenti siamo stati contenti di essere li, di dare il nostro piccolo contributo al grande progetto de La Gira. Grazie ai compa del EZLN che ci hanno lasciato una grande eredità, un bagaglio di lotte ed emozioni. Accudiremo il seme che abbiamo raccolto e lo faremo crescere.
GS.
“…al tentativo di tiro in porta, vanno tutte insieme nella porta a parare, non si passa, la porta e strapiena, tutte difendono è impossibile segnare…”