Restituzione dalla Redazione di Lef, sito web di cultura e società
L’iniziativa che gli zapatisti stanno portando avanti in Europa ha qualcosa di straordinario. Chi li ha incontrati, e sono stati migliaia e migliaia nei tanti appuntamenti disseminati nei vari Stati, ha potuto toccare con mano la possibilità di un altro modo di pensare e costruire l’azione politica.
Intanto va detto che si tratta di una iniziativa contemporaneamente politica e culturale. Negli incontri cui abbiamo partecipato (i circa dieci, che si sono tenuti in Campania), si è parlato di tutto: dalle emergenze climatiche alla biodiversità alimentare, dalle strutture di autogoverno alle pratiche di solidarietà attiva, dalla controcultura alla costruzione della coscienza e dell’identità. E abbiamo avuto modo di conoscere più approfonditamente una intensa esperienza di trasformazione sociale.
Inoltre, va sottolineata la modalità davvero spiazzante che gli zapatisti hanno imposto per tali discussioni. Non hanno voluto e non vogliono incontrare partiti politici e figure istituzionali. E soprattutto hanno richiesto che ci si tenesse lontano dalle consuete dinamiche di “costruzione bell’evento”. Hanno chiesto che finanche le foto fossero preventivamente concordate e in ogni caso che non girassero sui social. Può darsi che in quest’ultima richiesta ci fosse anche una comprensibile prudenza, poiché si tratta di una realtà in armi, attualmente accerchiata dall’esercito messicano e dalle formazioni paramilitari, e sottoposta a continue aggressioni e situazioni di combattimento. Ma in effetti la loro idea di impegno politico è tenersi ben lontani dalle dinamiche dell’apparire e puntare tutto sulle dinamiche attive di coinvolgimento.
C’è poco da dire: anche attraverso questa modalità ci hanno dato una bella lezione. Troppi, infatti, nel nostro mondo opulento, dimensionano il fare politica sui post e sui like che compaiono sui social…
Ma soprattutto va detto che questo loro viaggio In Europa – dalla Romania alla Polonia, dalla Slovenia alla Spagna, dall’Inghilterra alla Germania, dal Portogallo all’Italia, dalla Francia all’Austria, eccetera -, tenendo contemporaneamente nella stessa giornata decine e decine di incontri in varie parti d’Europa (e a ogni incontro stanno partecipando non singoli zapatisti ma loro delegazioni piuttosto numerose: per esempio in Campania si è trattato di undici persone, sei donne e cinque uomini), essi stanno costruendo, di fatto, una dinamica simile, e per certi versi migliore, a quella dei “social forum” che si ebbero agli inizi di questo XXI secolo, in particolare nella città brasiliana di Porto Alegre, ma anche in Europa e in Italia. E vale la pena di ricordare che anche quei Social forum ebbero tra i principali ispiratori gli zapatisti.
Cosa poi resterà di questi mesi di discussione in Europa, è presto per dirlo. Dipende anche da noi, dipende anche da coloro che hanno partecipato a queste discussioni dare continuità a un lavoro che non è fatto semplicemente di belle e ricche parole, ma di un implicito impegno a trovarsi e ritrovarsi in una dinamica di alternativa allo stato di cose presenti.
Noi di LEF, salutandoli dopo sei giorni di intenso confronto, abbiamo loro dato una lettera (ovviamente in spagnolo), che qui di seguito riportiamo per i nostri lettori.
La lettera di LEF
Care compagne e cari compagni dell’EZLN, care sorelle e cari fratelli,
è stato per noi un grande onore e una grande gioia incontrarvi e ascoltare dalla vostra voce la straordinaria esperienza di resistenze e lotta anticapitalista alla quale abbiamo sempre guardato con ammirazione e condivisione.
Sappiamo che il contesto nel quale noi viviamo e agiamo è diverso dal vostro, e che non è possibile riproporre qui, meccanicamente, le vostre pratiche di trasformazione sociale e politica.
Per come l’abbiamo capito noi, in Chiapas le lotte per la difesa delle condizioni materiali di esistenza, per la difesa della madre terra e per il riconoscimento dell’autorganizzazione e dell’autogoverno riescono a collegarsi con soddisfacente immediatezza alla prospettiva di un altro mondo possibile, libero da sopraffazioni e ingiustizie e basato sui valori della libertà di ciascuno, dell’eguaglianza fra tutti e della fraternità e sorellanza delle relazioni tra le persone.
Da noi, invece, la connessione tra le lotte particolari specifiche e la costruzione di una nuova società è meno immediata, perché agisce da freno una articolata struttura di mediazione borghese: dalle garanzie della democrazia formale (che alimenta l’illusione, chiamando regolarmente al voto, della partecipazione al potere politico anche per coloro che hanno redditi bassi e conducono vite faticose) ai concreti meccanismi di welfare che assicurano taluni diritti universali come istruzione e salute (e che però contemporaneamente dividono all’interno delle classi popolari, in base al reddito, tra i penultimi e gli ultimi della scala sociale).
Come chiariva un grande rivoluzionario comunista del nostro paese, Antonio Gramsci, morto nelle carceri fasciste nel 1937, nelle società a capitalismo avanzato esiste una robusta linea di relazioni civili, cioè di rapporti tra le persone che non sono direttamente rapporti “di potere”. E sono soprattutto le relazioni civili che sorreggono il sistema. Gramsci perciò invitava i rivoluzionari a capire che nell’Occidente, “lo Stato era solo una trincea avanzata, dietro cui stava una robusta catena di fortezze e di casematte” (A. Gramsci, Quaderni dal carcere, quaderno 7, nota 16).
In altre parole, da noi oppressione e sfruttamento si presentano con minore evidenza alla coscienza delle persone; per cui le lotte di resistenza ci sono, ma rimangono spesso circoscritte all’obiettivo specifico ed è difficile connetterle con l’idea di una trasformazione generale.
E, tuttavia, noi pensiamo che proprio nel mondo capitalisticamente avanzato la possibilità di una trasformazione rivoluzionaria sia particolarmente attuale. Infatti, se lo sfruttamento e l’oppressione restano velate, i disastri ambientali, l’alienazione del vivere concreto e la povertà spirituale dell’esistenza diventano, giorno dopo giorno, sempre più insopportabili.
Noi proviamo con le nostre minuscole forze – ma fortunatamente non siamo i soli e ci sono molte reti che lo fanno – di intrecciare le situazioni di povertà e di sofferenza (che comunque non sono piccole, a partire dal proletariato migrante) e la critica generale al capitalismo che comprime l’essere umano nel profondo. Ed è per questo che registriamo molti punti di contatto e di somiglianza, nonostante la diversità del contesto, tra quello che noi facciamo qui e la vostra straordinaria azione di resistenza e autorganizzazione. Anche noi, come voi, agiamo, seppure con risultati molto più modesti, con l’obiettivo dell’autorganizzazione delle attività economiche, sociali e politiche, dell’orizzontalità dei meccanismi decisionali, dell’assoluta prevalenza del bene comune sugli interessi individuali, e soprattutto coi principi di fraternità e condivisione.
Partecipiamo dunque attivamente alle specifiche lotte di resistenza e alle pratiche solidaristiche, provando a rafforzarle in quanto tali. Ma cerchiamo anche, contemporaneamente, di far vivere una nuova idea di rivoluzione, che – diversamente dal XX secolo – metta davvero assieme “nuova società” e “nuova umanità”.
Capiamo perciò, e facciamo nostre, molte delle cose che ci avete detto e illustrato, e proveremo a riformularle nel nostro linguaggio e nella nostra realtà,
Lontani geograficamente, ma vicinissimi politicamente.
Hasta la victoria! Siempre!