Da un certo punto di vista, da un lato ci sono i palcoscenici, i social network e le “masse” ammucchiate; dall’altra l’articolazione dei collettivi, che incarnano le oppressioni più diverse nelle geografie più lontane.Da un articolo di Raul Zibechi tradotto da Michele Fazioli per LAPAZ ITALIA dal sito: https://www.naiz.eus/es/iritzia/articulos/una-gira-por-abajo-y-por-la-izquierda
Se c’è una cosa di cui non si può accusare lo zapatismo, è la mancanza di coerenza. Da molto tempo hanno creato una politica di alleanza tra chi “sta in basso”, che metteranno in pratica durante il tour nelle terre europee che inizierà a giugno. La Seconda Dichiarazione de La Realidad per l’Umanità contro il Neoliberismo, emessa nell’agosto 1996, lo afferma in maniera chiara e trasparente quando dichiara: «Creeremo una rete collettiva tra tutte le nostre lotte e resistenze particolari. Una rete intercontinentale di resistenza contro il neoliberismo, una rete intercontinentale di resistenza per l’umanità». L’obiettivo di questa rete è incontrarsi con le resistenze nel mondo per sostenersi a vicenda, e chiariscono che la rete «non è una struttura organizzativa, non ha un centro di governo o decisionale, non ha un comando centrale né gerarchie. La rete siamo tutti noi che resistiamo». Credo che questa dichiarazione, che ha ormai un quarto di secolo, faccia luce su quello che gli zapatisti vogliono fare ovunque camminino. Prima l’hanno fatto in Messico dove hanno intrecciato le resistenze dei popoli nativi dando vita al Congreso Nacional Indígena (CNI) [Congresso Nazionale Indigeno – ndt], formato nel 1996, e poi al Concejo Indígena de Gobierno (CIG) [Consiglio Indigeno di Governo – ndt], creato nel 2016. Il CNI ha adottato i sette principi definiti dall’ EZLN come modalità di fare politica: servire e non servirsi, costruire e non distruggere, obbedire e non comandare, proporre e non imporre, convincere e non sconfiggere, scendere e non salire, rappresentare e non soppiantare. Il CIG è composto da 523 comunità in 25 stati del paese e da 43 popolazioni indigene. Affermano che «la nostra lotta non è per il potere» ma per «rafforzarci nella nostra resistenza e ribellione, cioè nel difendere la vita di ogni persona, ogni famiglia, gruppo, comunità o quartiere» (https://bit.ly/3rLJeWl). La rotta dell’EZLN, del CNI e del CIG mira alla costruzione di autonomie che si autogovernano collettivamente, basate su un altro modo di fare politica che segua i suddetti principi. È importante rimarcare che, come hanno sempre fatto, quando organizzano questi viaggi incontrano i collettivi in lotta, a prescindere dal numero delle persone che ne fanno parte, se sono presenti sui media mainstream o se hanno o meno un proprio pubblico. Non si tratta di fare grandi spettacoli sotto i riflettori di un palcoscenico sul quale salgono personaggi famosi e parlano per farsi ascoltare dal pubblico. Non mirano a riempire gli stadi o le piazze, ma piuttosto ad aprire spazi per il dialogo tra pari per ascoltare e imparare, per raccontare come ognuno stia resistendo e non per impostare la rotta per qualcuno. Lo zapatismo incarna nuove modalità di fare politica, dal basso e a sinistra, modalità senza precedenti nei movimenti antisistemici del XX secolo. María de Jesús Patricio, Marichuy, portavoce del CIG, dice spesso che «quando siamo insieme, siamo un’assemblea e quando siamo separati, siamo una rete». In un incontro di donne nel febbraio 2018, Marichuy ha illustrato la campagna per la raccolta delle firme che stavano portando avanti, come scusa per dialogare con i popoli. «Era necessario creare uno spazio, non tanto un’organizzazione, in modo che non ci sia qualcuno che guida e qualcuno che obbedisce, ma piuttosto che ci sentiamo tutti parte di questa casa». L’obiettivo è sempre quello di organizzarsi dal basso, perché in questo modo «riusciremo a smantellare questo potere che hanno coloro che hanno potere e denaro, quelli del malgoverno» (https://bit.ly/3ulJk8R). Mentre la politica tradizionale, tanto di destra che di sinistra, si rivolge alle grandi “masse” (parola tremenda) e a individui isolati, la politica degli zapatisti cerca di radicarsi nei gruppi organizzati che resistono al sistema. Mentre i metodi di fare politica dominanti, incentrati sulle elezioni, tendono a disorganizzare i collettivi esistenti o almeno a indebolirli, l’EZLN, il CNI e il CIG cercano l’opposto: incoraggiano le persone a organizzarsi per affrontare collettivamente i mali del sistema. È una politica che guarda verso il basso, non dall’alto ma orizzontalmente: dal basso verso il basso, tra pari, per condividere, imparare e tracciare percorsi, rispettando i modi e i ritmi di ognuno. Nella politica tradizionale vengono create grandi organizzazioni gerarchiche, nelle quali un piccolo gruppo decide e gli altri obbediscono. Piramidi il cui vertice, generalmente, è costituito da maschi formati nelle accademie che parlano ma non ascoltano, che prendono decisioni senza consultazioni, che dichiarano di parlare a nome di persone che nemmeno conoscono. Nella politica zapatista ogni gruppo parla con la propria voce, nessuno li interpreta o li rappresenta. Quelli di noi che partecipano ascoltano, fanno domande e cercano di imparare. Da un certo punto di vista, da un lato ci sono i palcoscenici, i social network e le “masse” ammucchiate; dall’altra l’articolazione dei collettivi, che incarnano le oppressioni più diverse nelle geografie più lontane. La visibilità mediatica (che non sposta di un millimetro il sistema) di fronte alla paziente e lenta organizzazione dal basso, che si impegna a contenere le oppressioni per smantellarle in un periodo indeterminato, è già iniziata. Storicamente, ogni volta che il capitalismo veniva impiantato in tutti i meandri della società, la cultura politica dal basso (che è sempre esistita come dimostrato dalla Comune di Parigi) è stata messa alle strette, ma riemerge con forza ogni volta che i popoli si alzano in piedi. Sto parlando delle assemblee territoriali della rivolta in Cile; del parlamento indigeno e popolare ecuadoriano; delle organizzazioni e comunità mapuche; dei consigli Nasa e Misak [rispettivamente delle popolazioni indigene colombiane Paez e Guambia – ndt] nel sud della Colombia; delle guardie di autodifesa che stanno cominciando a popolare le nostre geografie nelle Ande e in Amazzonia; delle centinaia di scuole popolari, delle cucine di comunità e dei presidi sanitari nati durante la pandemia. Questi sono i collettivi che ci ispirano e dai quali impariamo. Gli zapatisti ci propongono di entrare in connessione e di ascoltarci a vicenda per affrontare insieme il sistema.
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